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Facoltà di Economia, "In ricordo di Sebastiano Brusco", Modena 29 maggio 2002

Io non sono un economista ma neanche un accademico come Francesco Cavazzuti ma il rapporto che mi ha legato a Bastianino è molto antico: ha origine nel lontano settembre del 1959, quando per la prima volta ci conoscemmo nel corso del II° Convegno degli universitari sardi.      
Il terreno del nostro incontro fu quello tipico per due giovani, di estrazione borghese, di orientamento democratico, negli anni del miracolo economico e, in Sardegna, delle iniziative per l’attuazione dell’Autonomia speciale e, in particolare, di quell’articolo 13 dello Statuto che prevede un’azione congiunta dello Stato e della Regione per la formulazione e      
l’attuazione di un Piano di Rinascita economica e sociale dell’isola.      
Come molti giovani di allora ci impegnammo nelle associazioni universitarie della sinistra. Fummo entrambi, in tempi diversi, dirigenti nazionali dell’Unione Goliardica Italiana.      
Nel quadro di un simile impegno, Brusco fu tra i protagonisti del I° Convegno degli universitari sardi, svoltosi a Cagliari.      
Anche sulla base delle suggestioni di Antonio Pigliaru, quell’iniziativa cominciò, a porre il problema del ruolo dell’Università in rapporto al territorio: un tema ricorrente nell’esperienza di Bastianino. In quegli anni, in Sardegna, si parlava del “fattore umano nella Rinascita”.      
Io lo incontrai, alcuni anni dopo, quando mi capitò di essere, a Sassari, fra i relatori del II° Convegno degli Universitari sardi.      
Lui era già laureato in economia agraria e, giovane assistente volontario, si accingeva a partire per Cambridge.      
La nostra vera collaborazione, e la nostra amicizia, cominciò alcuni anni dopo.      
Lui era tornato da Cambridge ed era diventato assistente ordinario alla cattedra di Economia Politica della Facoltà di Giurisprudenza, retta, allora, da Pierangelo Garegnani.      
Io, dopo la laurea con una tesi di filosofia del diritto all’Università di Cagliari, avevo cercato “asilo politico” a Sassari ed ero assistente volontario di Antonio Pigliaru, incaricato di Dottrina dello Stato.      
Pigliaru non era solo un docente universitario. Era, soprattutto, uno straordinario organizzatore di cultura che, nella Sardegna di allora, attraverso una rivista ed una associazione (Ichnusa) promuoveva il confronto e l’incontro tra esperienze e culture diverse.      
Furono quelli anni importanti, non solo per noi.      
In Italia l’inizio degli anni ’60 richiama l’uscita dal clima della ricostruzione e l’inizio del boom, la ripresa di un movimento sindacale, con lo sciopero dei metalmeccanici di Milano, la crisi Tambroni ed il primo centro-sinistra, con il suo carico di speranze e di lacerazioni. Richiama anche i primi tentativi di uscire dalla “guerra fredda” con Kennedy, Krusciov e Giovanni XXIII.      
In Sardegna si viveva la stessa vicenda con una serie di specificità.      
Sono gli anni nei quali l’iniziativa per lo sviluppo comincia a tradursi in fatti concreti (la prima legge di attuazione dell’articolo 13 dello Statuto è del 1962). Tra il 1960 ed il 1961 i minatori, superando i traumi della dura sconfitta del 1949, riprendono la lotta e, dopo una lunghissima occupazione dei pozzi,costringono la Giunta regionale, per iniziativa di un assessore sardista, ad utilizzare per la prima ed unica volta la clausola, contenuta nello Statuto di      
Autonomia speciale, del “non gradimento” per l’ingegner Audibert, odiato direttore delle miniere della multinazionale belga Pertusola.      
In questo clima Ichnusa tesseva la sua tela culturale e politica.      
Intellettuali, soprattutto giovani, di diverso orientamento, lavoravano insieme su un terreno che non era solo di ricerca.      
Alla rivista, infatti, si affiancavano i dibattiti ed un’intensa attività di promozione culturale e sociale. Vorrei ricordare, fra le tante iniziative, solo i corsi di formazione degli adulti, a partire da quello rivolto ai pastori e ai contadini di Berchidda per insegnar loro ad utilizzare gli strumenti del Piano di Rinascita, una iniziativa che precorre, quella di poco successiva, su scala nazionale, delle 150 ore che è stata qui ricordata.      
Il merito di Ichnusa era quello di far circolare in Sardegna alcune tra le più significative esperienze culturali del paese rompendo un isolamento provinciale che, soprattutto a Sassari, era assai forte.      
Cominciavano, anche all’Università di Sassari, i primi segni di quello che sarebbe stato il ’68. Alla facoltà di Giurisprudenza, che si era in quegli anni arricchita per l’apporto di qualificati innesti di studiosi di altre università italiane, Pigliaru ed il gruppo di assistenti raccolti intorno a lui costituivano un momento di aggregazione, in sinergia con il lavoro della rivista e dell’associazione culturale.      
Riprese in quella fase, come dicevo, la mia frequentazione e la mia amicizia con Bastianino. Eravamo insieme nel gruppo di coordinamento di Ichnusa e nel lavoro del seminario di Dottrina dello Stato che tentava di intrecciare diritto, storia ed economia, con esperimenti interdisciplinari che venivano percepiti come spericolati dalla facoltà di allora ma venivano apprezzati dagli studenti.      
Eravamo in vario modo impegnati nell’impresa, che accomunò tanti giovani della nostra generazione, di attuazione democratica del primo Piano di Rinascita. Ripensavamo insieme, sia pur partendo da una diversa militanza (lui sardista ed io socialista), la nostra esperienza di partito con una riflessione che ci avrebbe portato, in tempi successivi, all’adesione al PCI ed all’impegno per la sua trasformazione. Si discuteva, naturalmente, nelle riunioni e nelle sedi formali ma, soprattutto si discuteva insieme nelle case, negli incontri, nelle lunghe camminate, in particolare la sera, quando si tornava verso casa a piedi.      
Fu, per entrambi, una fase decisiva di formazione culturale ed umana. Il nostro orientarci, progressivamente, verso una collocazione politico-culturale diversa da quella del ceto sociale di provenienza ci costringeva ad una certa radicalità ma ci obbligava, anche, a vivere la scelta con autonomia e distacco critico. L’intrecciarsi del lavoro culturale e di quello politico-sociale, immersi in una società in rapida trasformazione, ci facilitava nel superare schematismi.      
Si compivano esperienze che sarebbero stati messe a frutto in momenti ed in collocazioni diverse. 
Per quanto riguarda la mia esperienza fu certamente per suo stimolo che cominciai ad esplorare le problematiche della programmazione, della storia economica, del diritto dell’economia.      
C’è di quella fase di lavoro politico-culturale una documentazione importante nell’ultimo numero della rivista Ichnusa (pubblicato nei primi mesi del 1965). Si tratta di un fascicolo dedicato, quasi per intero, ad interventi sul piano di Rinascita, stimolati da un questionario formulato da Brusco che scrisse anche un’introduzione complessiva ai testi. Se lo si riprende in mano a distanza di oltre trent’anni ci si trovano molti dei temi che con diversa angolatura hanno, in tempi diversi, costituito oggetto della sua specifica ricerca di economista ma anche del mio lavoro di dirigente politico.      
Era stato appena presentato il primo Piano quinquennale, in attuazione della legge sulla Rinascita della Sardegna, e la rivista decise di dedicare un numero alla discussione che su quel tema era assai viva.      
Non si trattava di domande “formulate con rigore scientifico” perché, come scrisse Brusco, il proposito non era “quello di elencare le più importanti scelte necessariamente legate alla formulazione di un piano ma quello di riproporre – con tutta la loro carica di ambiguità – le tesi sulla pianificazione (presenti) nel mondo politico isolano”.      
Era la fase del travolgimento delle indicazioni dei primi studi sul Piano di Rinascita che ipotizzavano uno sviluppo diffuso, fondato su un tessuto di piccole e medie aziende.      
Contro tale ipotesi passava, anche in Sardegna, la logica nazionale dei poli di sviluppo e, in particolare quella della petrolchimica che avrebbe segnato la vicenda di tanta parte del Mezzogiorno.      
Il questionario, nel chiedere una valutazione, poneva alcuni problemi e forniva indicazioni metodologiche che, al lettore di oggi, possono apparire scontate ma che tali non sono se inquadrate nella discussione politico-culturale che si svolgeva allora in Sardegna: si tendeva, pericolosamente, a scaricare sullo Stato, “nemico esterno”, tutte le responsabilità per i limiti e l’arretratezza dell’isola.      
Rispetto al rischio, tipico di una certa polemica sardista e di sinistra, di chiedere “tutto per tutti”, Brusco sottolineava l’esigenza “di elencare gli obiettivi in ordine di priorità … di dare un peso … di compiere scelte”.      
Non meno significativa è la sottolineatura polemica contro una politica che prescinda dai programmi e quindi l’apparente sottovalutazione del tema delle maggioranze di Governo: “Le discussioni sulle formule di collaborazione – scrive Brusco - … finiscono con l’essere mistificanti … perché … la ricerca di compromesso tra diversi programmi di governo non trova … il rilievo necessario”.      
Quella fase del nostro rapporto durò circa 7 anni e si concluse, con qualche ferita per noi, in un quadro di tensioni tipiche della esperienza del ’68.      
Come in molte altre sedi universitarie anche a Sassari gli studenti ricorsero all’occupazione della sede del Rettorato.      
Alcuni di noi assistenti (Angiolina Arru, Luigi Berlinguer, Bastianino ed io) ritenemmo di non interrompere il dialogo che, con gli studenti si era instaurato nel seminario di Dottrina dello Stato, diretto da Antonio Pigliaru.      
Partecipammo ad un’assemblea nell’Università occupata, li stimolammo a definire in una piattaforma le loro richieste, formulammo, a nostra volta un documento sulla riforma dell’Università.      
Si trattava di una scelta di forte rottura negli equilibri di allora del corpo accademico. Il 7 febbraio del 1969 fu approvato un documento nel quale si diceva che “ il Consiglio di Facoltà …. avendo appreso che alcuni componenti del corpo docente hanno partecipato all’occupazione dell’Università l’hanno incoraggiata se non addirittura promossa … deplora l’atteggiamento tenuto dai predetti docenti”.      
Ognuno di noi cercò la sua strada.      
Ho brevemente ripercorso alcuni anni fondamentali nella nostra esperienza culturale ma anche umana. Poi le nostre strade si divisero. Io impegnato, sempre di più in un ruolo sindacale e politico e lui tenacemente impegnato sul fronte della ricerca e dell’Università. A lui capitò la fortuna di incontrare Modena, la sua Università ed anche la compagna della sua vita.      
Se mi è consentito, anche a Modena, e non solo alla sua Università ma anche al suo territorio, alle sue istituzioni, capitò la fortuna di incontrare Brusco.      
Per i venti anni successivi la nostra frequentazione fu sporadica. Ci si rivedeva ogni tanto, Si scopriva una perdurante sintonia nelle ispirazioni che ci guidavano. Ci si lasciava con immutato affetto. Poi la vicenda recente e la      
collaborazione da me ricercata e da lui offerta, con grande disinteresse personale, quando mi trovai, per impegni prima di partito e poi di Governo, a      
ricercare un esperto di piccole e medie aziende e, naturalmente, pensai a Bastianino.      
Vorrei concludere ricordando l’esperienza di presidente del Banco di      
Sardegna che lui accettò, dopo qualche resistenza, per le congiunte pressioni      
mie e di un altro amico sassarese: lo scrittore Salvatore Mannuzzu. Delle      
amarezze ma anche degli importanti risultati di questa esperienza parleranno      
altri ma io, per la responsabilità che porto di quella sua scelta, sentirei di      
tradire il nostro rapporto se non dicessi, con chiarezza, quel che penso.      
La recente Assemblea di bilancio del Banco di Sardegna ha dimostrato,      
evidenziando utili per oltre 50 milioni di Euro, quanto profonda e significativa      
sia stata l’azione di risanamento del più importante istituto di credito sardo      
durante la Presidenza di Brusco. Ha evidenziato, anche, quanto miope ed      
ingiusta sia stata la sua sostituzione. Miope l’azione dei sardi che si sono      
privati di una disinteressata, grande competenza. Ingiusta l’azione della      
Banca d’Italia che riteneva Brusco un corpo estraneo rispetto al modello di      
Banca che essa tentava di imporre.      
Si è trattato di un lavoro che ha cercato di introdurre nell’esperienza      
della Banca una torsione non facile. Da una gestione tutta giocata sui bassi      
costi della raccolta e su una politica degli impieghi orientata dalle pressioni      
clientelari si è passati ad un tentativo di costruire un rapporto positivo con il      
territorio.      
Restano di quella esperienza non solo i risultati di bilancio che ho ricordato e la ricollocazione della Banca all’interno di un gruppo che può al meglio valorizzarne le potenzialità.      
Resta soprattutto, io credo, l’inizio di una costruzione di una struttura orientata, appunto, alla promozione degli interventi di sviluppo, a partire dagli strumenti di programmazione negoziata. Questo è il segno, ancora una volta, della grande attenzione di Bastianino per gli uomini, per la loro capacità di essere i principali soggetti di ogni trasformazione, attenzione così      
efficacemente riassunta nel suo pensiero che costituisce il filo conduttore di      
questa iniziativa.      
Vorrei concludere ringraziando l’Università di Modena che mi ha consentito di partecipare a questa iniziativa volta ad onorare un caro amico che non è più tra noi ma il cui contributo intellettuale e la cui carica umana, il cui sorriso dolce ed ironico sarà bene non dimenticare.