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Facoltà di Economia, "In ricordo di Sebastiano Brusco", Modena 29 maggio 2002

Ho discusso il contenuto di questa nota soprattutto con Pietro Maurandi, Monica
Pilloni, Sergio Russo e Paolo Sestu, tutti presenti con me nel C.d.A. del Banco di
Sardegna presieduto da Sebastiano Brusco tra il 1998 e il 2001. Spero che il mio
testo rifletta il punto di vista comune sviluppato in lunghe discussioni nel corso di
questi anni. Ho inoltre avuto l’occasione di parlare con numerosi funzionari e
dirigenti del Banco, con dirigenti sindacali e con amministratori della Fondazione
Banco di Sardegna. Tutti hanno mostrato una grande disponibilità, fornendo punti
di vista preziosi su vari aspetti toccati nella mia ricostruzione. A tutti un sincero
ringraziamento.
 

Introduzione

Sconfitta è una parola forse eccessiva, ma non si può fare a meno di usarla nell’organizzare queste brevi note. Sebastiano l’avrebbe certamente usata, e ancora oggi si interrogherebbe con serenità e profondità su eventi ed esiti della sua vicenda bancaria.
E’ necessario chiedersi, per iniziare: di che sconfitta parliamo? Conviene essere subito chiari: parliamo della sua non riconferma come presidente del Banco di Sardegna; l’unica sconfitta che – a quel che mi risulta – lui fosse disposto ad ammettere.
Cosa ha causato questa sconfitta?
Non sono sicuro di saper dare una risposta, oggi. Cercare la risposta è però il modo migliore per rimettere insieme con ordine i pezzi di questa storia, per iniziare a chiarire in quale contesto Sebastiano ha svolto il suo nuovo lavoro.
(La mia testimonianza sarà necessariamente limitata. Non credo che il mio vantaggio comparato stia nel collegare l’esperienza di Sebastiano al Banco al suo modo di interpretare, con evidente e riconosciuta originalità, il mestiere di economista. Credo invece che il mio vantaggio comparato abbia una natura casuale. Mi è capitato di essere testimone di una vicenda importante e recentissima nella vita di Sebastiano, e dunque di poter mettere in fila i fatti con l’aiuto di altri testimoni. Cercherò di fornire elementi che potranno forse essere utili a coloro che, in futuro, vorranno rileggere questa esperienza nel quadro più generale del lavoro intellettuale di Sebastiano)


Propositi

Non sono in grado di dire come si arrivò a nominare Sebastiano presidente del BdS nell’estate del 1998. La temporanea difficoltà in cui si trovava la peggior politica locale deve aver dato un contributo non piccolo. So perché fu scelto: il suo prestigio di economista attento ai problemi dello sviluppo e la sua conoscenza della economia e della società sarde sono gli elementi che, in quel particolare contesto, svolsero un ruolo decisivo.
Quando Sebastiano arrivò a Sassari nella sua nuova funzione, era consapevole di un problema che emerge continuamente nella letteratura sullo sviluppo economico.
“Come nascono le coalizioni per lo sviluppo?” Sappiamo bene come non nascono: l’intera letteratura su Political Economy lo spiega. In presenza di agenti eterogenei, interessi particolari possono rendere difficile adottare le azioni che massimizzano il benessere aggregato.
Dunque, il primo compito di chi vuole perseguire il risultato ottimale è quello di individuare gli inevitabili interessi contrapposti e le forze che è possibile combinare per raggiungere il fine che si ha in mente.
Il fine, intanto. Sebastiano era convinto di dover lavorare per ottenere una Banca locale, autonoma ed efficiente.
Autonoma dal punto di vista gestionale, cioè non controllata direttamente da un partner di dimensioni più grandi. La ragione è ovvia: poteva Sebastiano non credere nel valore aggiunto della conoscenza locale, specifica? Ragionevolmente, pensava che questo tipo di conoscenza non fosse il core-business di banche di dimensioni nazionali.
Ragionevolmente, si rendeva però anche conto (e si rese sempre più conto) che le banche locali diventano spesso facili prede di interessi particolari; possono essere terribilmente inefficienti e poco trasparenti.
Questo è il trade-off di cui abbiamo dovuto discutere sempre piu’ spesso nel CdA, col passare del tempo. In teoria, l’ottimo per una regione in ritardo è una banca locale efficiente, federata con altre per sfruttare le economie di scala presenti in alcune dimensioni dell’attività. Una banca di questo tipo conosce meglio la realtà nella quale agisce e fa buon uso di questo vantaggio informativo.
Tuttavia, nell’opinione di molti esiste nei fatti uno scambio tra “locale” ed “efficiente”; in questo scambio, “locale” significa inefficiente: soprattutto, una inefficienza che tende a favorire interessi incompatibili con una buona gestione e che impedisce lo sfruttamento virtuoso del vantaggio informativo potenziale.
Sebastiano era consapevole del rischio di questo trade-off, ma era determinato a non considerarlo inevitabile. La sua coalizione per lo sviluppo andava costruita intorno all’obiettivo più ambizioso, il suo first best: una banca locale, nel senso di autonoma ed efficiente.
Come ottenere questo fine?
Primo, efficienza. A che punto era il Banco, come migliorarne l’efficienza? Secondo, autonomia. Quale modello di privatizzazione privilegiare, come definire un percorso capace di garantirne l’autonomia gestionale?
Ragionando su questi due punti, Sebastiano si trovò presto di fronte ai due problemi ai quali dovette dedicare gran parte del suo lavoro.


Difficoltà

Prima difficoltà (efficienza). Qual era la reale situazione economica del BdS nel momento in cui Sebastiano diventò presidente? Capirlo prese più tempo del previsto. Un Gruppo di oltre 4000 addetti è un organismo complesso.
Sebastiano Diventò presidente in un contesto di quasi totale rinnovo delle cariche amministrative, sia sul lato dell’azionista (la Fondazione BdS), sia su quello del CdA da lui presieduto. La storia e la situazione del Banco andava dunque ricostruita in coincidenza con una profonda ed ampia rottura di continuità negli organismi con i quali si sarebbe svolto gran parte del suo lavoro.
In questa profonda e particolare asimmetria di informazione, il ruolo del management diventa essenziale. Ma anche su questo lato le cose non erano semplici. Ovvi e comprensibili istinti di conservazione interferiscono sui tempi, sulla selezione e in generale sulla qualità delle informazioni che arrivano ai nuovi amministratori.
La reale situazione del Banco si precisò infatti con l’emergere lento di dettagli raramente positivi.
In mezzo a queste difficoltà, Sebastiano fu comunque coerente nella sua azione. Come vedremo meglio tra poco, decise di ricercare i necessari guadagni di efficienza – qualunque fosse il loro ordine di grandezza – soprattutto attraverso l’elaborazione di regole trasparenti condivise da dipendenti, dirigenti, amministratori. Regole capaci creare un clima favorevole ad accelerare l’acquisizione delle competenze necessarie a trasformare il Banco in azienda efficiente e moderna. Dunque, formazione continua per acquisire competenze, e regole premianti per valorizzare quelle già presenti.
Seconda difficoltà (prospettive di autonomia). Raggiungere una autonomia virtuosa richiedeva idee precise sul modello di privatizzazione da adottare. Ogni modello di privatizzazione modifica importanti equilibri, determina allocazioni di potere e di controllo inevitabilmente diverse da quelle di partenza. Senza idee chiare non si governa un processo così delicato.
Una ovvia regola di governance assegna alle Fondazioni il compito di disegnare il percorso della privatizzazione degli istituti di credito controllati. A torto o a ragione, Sebastiano si convinse presto di dover violare in parte questa regola, data l’eccezionalità della situazione. Due motivi stavano alla base della sua convinzione: la certezza che la trasformazione aziendale del Banco e la sua privatizzazione non fossero processi tra loro indipendenti, nella sostanza delle cose e nei vincoli temporali dati; e la sensazione che facesse fatica ad emergere, anche dentro la Fondazione, un modello di privatizzazione credibile e coerente con l’obiettivo di una autonomia efficiente.
Per la verità, l’elaborazione di un modello coerente non era un compito semplice: né da un punto di vista puramente concettuale (sui dettagli della sua proposta tornerò tra poco), né dal punto di vista della creazione di un consenso sufficiente a renderlo adottabile.
All’esterno, Sebastiano non poteva dare per scontato il consenso al suo progetto di massima da parte dell’organo di vigilanza, che sembrava anzi credere nell’esistenza – soprattutto al Sud – di un frequente, netto trade-off tra autonomia ed efficienza.
All’interno della regione, molti sembravano condividere l’idea di una banca autonoma e persino efficiente; tuttavia, questo sostegno riguardava una prospettiva ancora molto vaga; inoltre, in questo sostegno c’era un’enfasi che, per antica tradizione regionale, tendeva a cadere pericolosamente sul primo dei due termini. “Autonomia” in Sardegna è spesso l’alibi utilizzato per dare una vernice di apparente universalità a interessi particolari, per proteggere scelte pubbliche e posizioni private di privilegio che non sopravvivrebbero in una società meno chiusa al giudizio esterno.
Così, non pochi sembravano sperare che, dopo qualche auspicato scossone nel vecchio management e qualche guadagno di efficienza, si tornasse a “su connottu”: una banca poco trasparente nel suo operare, sensibile alle istanze del “malinteso localismo”.
Nell’affrontare queste due difficoltà, Sebastiano capì che non esisteva una “coalizione per lo sviluppo” abbastanza forte da sostenerlo nella direzione che aveva scelto.
Essendo una persona profondamente indipendente, non un politico alla ricerca di facili conferme nel mercatino delle nomine, cercò di creare consenso attraverso l’elaborazione e la proposta di progetti chiari e dettagliati.
 

Azioni

Il risanamento dei conti

Il CdA presieduto da Sebastiano si insediò nel settembre del 1998; il primo compito fu di approvare la semestrale impostata dal precedente consiglio. Questa semestrale mostrava un attivo di 22 miliardi di lire. Le cose cambiarono subito. Nelle parole di Sebastiano, “Il bilancio del 1998 … si chiuse in modo assai diverso da ciò che il bilancio semestrale lasciava prevedere e mostrò una perdita di 128 miliardi”. Un accurato lavoro di indagine aveva suggerito di accantonare 300 miliardi.
Non fu che l’inizio. Citando ancora Sebastiano, infatti,

“Sin dal settembre 1998 … l’attuale Consiglio di amministrazione ha ritenuto opportuno che i conti del Banco fossero improntati alla più puntigliosa prudenza.
In questa ottica sono stati riesaminati tutti i crediti. A seguito di questo esame, i crediti classificati a sofferenza sono passati da 807 miliardi a 1.533 miliardi. La quota delle sofferenze sul totale degli impieghi è variata dal 7% al 14% . Le posizioni classificate a sofferenza dal principio del 1998 alla fine del 2000 ammontano a 869 miliardi e rappresentano quasi la metà delle sofferenze al 31 dicembre 2000. Di queste posizioni, il 76,5% (che corrispondono a 665 miliardi) hanno avuto il primo affidamento entro l’anno 1994.
Gli accantonamenti previsti dalla semestrale del giugno del 1998 erano pari al 29% dei crediti in sofferenza. Gli accantonamenti previsti dal bilancio del dicembre del 2000 rappresentano il 55% dei crediti in sofferenza alla stessa data.
I tre bilanci di cui l’attuale Consiglio è responsabile rappresentano in sostanza tre tappe di un unico processo, coerentemente portato avanti per tutto il periodo. Oggi tutte le sacche di incertezza presenti nel bilancio del Banco sono state bene identificate e ben presidiate.“